Writing dreaming hoping

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Schiava del fato

sabato 27 febbraio 2010

Schiava del fato - 3° capitolo




Il suono metallico della serratura che si apriva riecheggiava sinistramente all'interno della cella.
Sollevai lentamente la testa - fino ad allora poggiata stancamente sulle ginocchia.
Mi scostai i capelli dal viso con un mano tremante, bene finalmente era arrivato il nostro turno di andarcene da lì.
Sinceramente non mi importava un granché di quello che mi sarebbe successo una volta uscita da quel antro che era diventato il mio personale incubo.
Il fetore era insopportabile, così come la sporcizia che vi regnava.
Poggiai una mano a terra e mi alzai faticosamente in piedi.
Non avrei di certo aspettato che fossero state le guardie ad ordinarmelo.
Nessuno dei miei compagni di sventura osò emettere il minimo suono, e anche loro si issarono in piedi rassegnati.
La luce che filtrava più intensamente mi permise di guardare intorno, e non mi stupii di quello che vidi: Relitti umani. Persone dai lunghi capelli sporchi e uomini dalle barbe folte e ispide.
Quando finalmente i soldati furono al completo tendemmo le mani pronti ad essere legati per nulla stupiti dal trattamento che stavamo ricevendo, l'essere maltrattati era ormai diventata un abitudine, così come la nostra reazione apatica agli abusi subiti.
Quanti giorni erano passati da quando tutto era cominciato? dieci giorni? quindici? un mese? non lo sapevo e non mi interessava, stavo sprofondando sempre di più in un abisso emotivo che mi aiutare a rifuggire quella realtà così intollerabile per me, e quello stato di stordimento emotivo era l'unica cosa che mi permetteva di non impazzire, di non rivedere per la millesima volta le scene di massacro che scorrevano nei miei sogni ogni volta che osavo abbassare la guardia.
Fissai ostinatamente il muro di fronte a me fino a quando mi sentii legare le mani cosi strettamente da provare dolore.
Eravamo rimasti in pochi, due donne accoccolate tra di loro non si erano alzate dal loro giaciglio ; osservai un soldato che si dirigeva velocemente verso di loro:
"Alzatevi forza" Corrugo la fronte irritato quando le due donne non obbedirono al suo comando.
Sferrando un calcio a una delle due, attese pochi attimi girandosi poi verso il suo superiore quando non ricevette in risposta nessuna reazione. "Sono morte signore"
"Lasciale lì, manderò più tardi qualcuno che le getti nella fossa comune"
Immediatamente il livello di tensione si alzò e serpeggio tra noi superstiti.
Prima di essere spinta fuori dall'uscio mi girai a guardare le due donne che si tenevano per mano, mentre una lacrima solitaria correva libera sulla mia guancia.
"Muoviti, dannazione, non farmelo ripetere due volte se non vuoi che ti riduca come quelle due lì, ossia Morta!"
Non risposi, ma accelerai il passo prendendo il mio posto in fila, mentre alzavo le mani legate per asciugare quella lacrima, simbolo dell'umanità che ancora risiedeva in me.
Mentre ci accingemmo a salire le scale per la prima volta dopo molto tempo torno a riaffiorare il dolore alla caviglia che avevo dimenticato, non avendo più realmente camminato da un po di tempo.
Abbassai lo sguardo e la vidi gonfia come non lo era mai stata, pazienza non credo che sarebbe contato molto, di certo non mi sarebbe servita per correre e scappare via, sicché l'unica cosa che mi rimaneva da fare era catalogare questo come uno dei tanti dolori che ero costretta a sopportare in silenzio. Ad essere sincera mi consideravo anche discretamente fortunata non essendo io quella ridotta nelle peggiori condizioni.
Contai mentalmente ogni scalino che salimmo, e una volta arrivati in cima riconobbi la sala nella quale ci trovavamo, avendola percorsa nel senso opposta molto tempo prima.
Appena giunti di fronte all'imponente portone in legno massiccio fummo fatti fermare in attesa che il guerriero a capo del nostro gruppo urlasse l'ordine di aprire le porte per farci passare.
Appena mi ritrovai all'esterno, sentii la luce del sole che mi feri gli occhi costringendomi a chiuderli. Quello che percepii in un secondo momento fu l'aria fresca che mi riempiva i polmoni liberandomi da quel odore di sudiciume che era diventato cosi familiare da non essere più nemmeno percepito.
Per ultimo sentii le grida di una folla riunita nella piazza del forte; Furono quelle grida che mi spinsero lentamente ad aprire gli occhi.
Camminai fino al centro della piazza dove ci aspettavano altre guardie, alcune delle quali sedute su delle panche di fronte alle quali erano stati messi dei tavolini piuttosto sbilenchi.
I soldati li seduti erano intenti a scrivere qualcosa su dei fogli mentre la folla di persone strepitava sempre di più.

Un'altro soldato venne a disporci in fila per uno, mentre un suo compagno prese il ragazzo accanto a me portandolo vicino ad un palo al centro della piazza dove gli furono tagliati i lunghi capelli. Lo stesso soldato appena posate le forbici prese un ferro lungo da un mucchio di braci che non avevo notato.

Venne fatta abbassare la testa al ragazzo e l'estremità incandescente che fino ad allora era stata poggiata direttamente sulle braci fu premuta con mano ferma sulla base del collo del ragazzo che lanciò un urlo disumano mentre si dibatteva nel tentare di liberarsi.

Appena il ferrò fu allontanato, un piccolo secchio d'acqua fu gettato lì dove si era formato un marchio.

Il ragazzo venne poi fatto portare gocciolante difronte la folla e vicino a uno degli uomini seduti ai tavoli.

Partì cosi, inaspettatamente quella che era un asta. Con stupore compresi il motivo per il quale eravamo lì: Ci stavano vendendo, nemmeno fossimo bestie.

Un coro di voci si alzò dalla folla facendo proposte sempre più consistenti.

Al termine dell'asta il ragazzo fu venduto per un sacco e mezzo di avena lavorata. La donna che se lo era aggiudicato si diresse verso il tavolo a ritirare un documento che supposi fosse quello che attestava l'appartenenza dello schiavo.

Lo stesso trattamento fu riservato a due uomini alla sua destra che furono poi trascinati via in catene dai loro nuovi padroni destinati ad un esistenza di schiavitù.

Venne così il turno di un ragazzino che non doveva avere più di tredici anni.
L'unica differenza è che una volta marchiato questi si volto da una parte e vomitò, proprio sui piedi del soldato a capo del gruppo che gli era accanto, il quale sguainando la spada lo porto al palo, lo lego e gli taglio la gola di fronte alla folla divertita da quello spettacolo.
Rivolgendosi verso di noi ripose la spada ancora sporca di sangue nel fodero.
"Che vi sia di monito, feccia." fece una pausa camminando avanti e indietro dando spettacolo, compiaciuto di se. "Nessuno, può sperare di compiere un gesto così infamante nei nostri confronti senza ricevere una punizione adeguata ai vostri misfatti" un altra pausa "La vostra vita non conta un bel nulla per noi, prima lo capirete meglio sarà"
Un ultimo fievole gemito fu emesso dal ragazzino, e l'inquietante silenzio che provenne dalla sua direzione ci fece capire che era oramai morto.
Rimasi orripilata dal gesto così orribilmente barbaro che era stato compiuto.
Quegli uomini si esprimevano correttamente a parole, ma nei modi erano dei selvaggi.
Il corpo venne slegato e gettato da una parte, mentre il mio sguardo disgustato era attratto dalla figura di colui che era stato in grado di compiere un atto cosi disumano. L'odiai, l'odiai infinitamente tanto,con tutto il furore che il mio cuore lacerato era in grado di provarem riversando così su di lui tutte le colpe dei maltrattamenti subiti fino ad allora da tutto il mio popolo.
Era un maledetto, erano tutti dei maledetti; una banda di profanatori senz'anima, senza principi, abbandonati da tutti gli Dei.
Una massa di assassini che non davano il minimo valore alla cosa più bella che possedevamo: La vita.
Lo fissai cosi a lungo e intensamente che non potei fare a meno di essere notata da uno dei soldati che diede di gomito a quello che era diventato il mio capro espiatorio.
Fu così che mi notò, girandosi con il busto verso di me,indicandomi alzando il grande braccio muscoloso e peloso.
"Ehi Tu!" si avvicinò a me con un sorrisetto malvagio. "Ma guarda un po cosa abbiamo qui" Abbassò il viso fino ad arrivare alla mia altezza, fissandomi così direttamente negli occhi. "Vorresti uccidermi dì la verità" mi guardò a lungo, mentre rimasi in silenzio non osando sfidarlo ancora di più "Oh si che vorresti, lo vedo nei tuoi occhi" Sorrise compiaciuto. Era un bel uomo e lui sapeva di esserlo, lo si vedeva dal modo compiacente nel quale si muoveva nonostante il rigido rigore di soldato.
Risollevò il volto prendendomi i polsi con una sola grande mano, stringendoli forte alzandoli e costringendomi cosi a stendere le braccia verso il cielo.
"Bene gente, abbiamo qui un succulento bocconcino pronto per voi. Chi vuole comperare questa bella ragazza?" Un coro di offerte salì immediatamente dalla folla.
Ridendo di gusto l'uomo mi porto verso il braciere con il ferro incandescente che riposava su di esso. Cercai debolmente di scansarmi, impaurita da quello che mi stava aspettando.
"Non fai più la spavalda ora eh?" mi sussurro all'orecchio. "Ora ti insegnerò cosa significa il dolore" Mi scostò i capelli mi abbasso di forza la testa e infine premette il metallo incandescente sulla pelle delicata alla base del collo.
Urlai come non avevo mai urlato fino ad ora, mentre i soldati accanto a me ridacchiavano compiaciuti.
Un ondata di dolore si riverso sulla mia pelle, travolgendomi fino a farmi quasi perdere i sensi.
Non percepii nemmeno la mano dell'uomo che allontanò il ferrò dalla mia pelle tanto il dolore era intenso.
Macchie nere mi oscurarono la vista, mentre fui fatta avvicinare al palo lasciato libero dal ragazzino poco prima. Avevo la mente confusa, non riuscivo a formulare un pensiero coerente.
Mani rudi mi strapparono quel che restava della mia tunica mentre mi furono fatte sollevare le bracciata. Sentii dei bracciali di metallo che si chiusero intorno ai miei polsi doloranti liberati dalle corde.
Sentii dei commenti volgari provenire dalla mia sinistra ma non riuscii a comprenderne pienamente il significato.
Una sferzata sul fianco mi fece urlare, strappandomi dalla nebbia che mi circondava e lasciandomi li boccheginate e nuda, esposta agli sguardi di tutti.
"Ti piace, eh?" un altra sferzata mi colpì sul seno " Su dillo ti piace questo?" il sangue cominciò a sgorgare lentamente dalla ferita, risaltando cremisi e brillante sulla mia pelle bianca, mentre si susseguivano una sferzata dietro l'altra a distanza di pochi momenti. Strinsi i denti, cercando di trattenere ogni gemito di dolore.
A ogni ferita che mi veniva inferta sentivo le forze che mi abbandonavano lasciando dentro me solo dolore e un bruciore incredibilmente intenso. Dopo l'ennesima sferzata che mi colpì sul polpaccio sinistro, piansi lacrime amare, non mi importava più di essere osservata. Che guardassero pure la mia sofferenza e si beassero di essa. Guardai tra le palpebre semi chiuse il braccio dell'uomo che si alzava e si abbassava su di me, con una precisione che rivelava che era avezzo a quelle pratiche.
Il sangue viscido si mischiava al sudore e alle lacrime. Non ce la facevo più a stare in piedi, e se non fosse stato per le catene che mi teneva ritta probabilmente sarei gia caduta al suolo.
Mi accasciai tuttavia su me stessa, per quanto mi fosse possibile dalla posizione imppostami, lasciando la testa penzolare,sfiancata fin nel profondo dell'anima.
Fu allora che l'uomo smise di frustarmi, tornando a rivolgersi al pubblico.
"Ora, chi vuole fare un offerta per la ragazza? come potete vedere è stata ben educata e sarà docile nelle vostre mani".
Tra i rumori della folla si alzò potente una voce profonda e calda, inconfondibilmente maschile "Quindici monete d'oro"
Il silenzio calò immediatamente nella piazza. Capii che doveva trattarsi di una somma esorbitante; Anche tra il mio popolo era molto raro l'uso di monete d'oro, essendo quello un materiale molto bello e prezioso.
Accigliato il mio torturatore fisso l'offerente "Siete serio voi laggiù?"
L'uomo si fece avanti facendo tintinnare un sacchetto. Aprii gli occhi per vedere chi era ad aver fatto un offerta simile per una schiava nelle mie condizioni.
"Io non scherzo mai"
Fissai le sue spalle mentre gettava il sacchetto di pelle marrone sul tavolo di un soldato che si stata sbrigando a preparare la pergamena.
Si girò infine verso di me, i lunghi capelli castani che scintillavano al sole, lasciavano scoperto il bel viso, rivelando quel inconfondibile sguardo che era rimasto marchiato a fuoco nella mia mente. Lo stesso sguardo di colui che mi aveva rivolto quel unico gesto gentile, dall'inizio di tutto.
Lo fissai negli occhi mentre si avvicinava a me, e continuai a fissarlo anche quando mi slegarono, e lui guardò me nascondendo una forza sopita che mi infuse uno strano senso di pace.
Poi appena fui libera dalle catene, mi accasciai al suolo, prima di forze.
L'ultima cosa che vidi, furono i suoi incredibili occhi chiari.